“OGNUNE ALL’ARTE SE E LE PECORE A JU LUPE”
Questo proverbio molto antico dell’entroterra Abruzzese si è tramandato da padre in figlio, restando di uso comune fino alla prima metà del novecento. La frasetta all’apparenza semplicistica e di senso quasi limitato, racconta una storia millenaria coniugando saggezza, sacrificio e cruda realtà di sopravvivenza. Essa si colloca in un epoca e contesto sociale ben preciso, quando la pastorizia costituiva la più frequente e quindi più importante fonte di reddito in particolare per territori poco fertili ed impervi quali gli altopiani dell’Abruzzo centrale. Questo detto si presta magnificamente come spunto per l’introduzione a questo libro. Estrinsecando appieno questa espressione, senza cadere in artificiose interpretazioni, si racconta una condizione di vita che racchiude il contesto in cui è cresciuto e si è fatto un nome il nostro cane da pecora, per la cinofilia ufficiale Cane da Pastore Maremmano Abruzzese. Il pensiero primario che questo detto vuole esprimere si riferisce alla particolare abilità di svolgere un mestiere o una funzione. Vuole significare che una cosa per essere fatta bene - ad arte - deve essere compiuta da chi ha particolare abilità nel farlo; da chi, per l’appunto, lo fa con mestiere. Questa perifrasi veniva usata quale espressione critica in circostanze in cui si palesava una cosa mal fatta o non riuscita. “Lassa perde quande ‘na cosa ne la sa fa’ – ognune all’arte se e le pecore a ju lupe” Sostanzialmente il messaggio potrebbe esaurirsi qui, per chi si accontenta. Andiamo invece a vedere in quale contesto sociale esso è stato coniato e perché si fa un riferimento così specifico al lupo ed alla pecora. Intanto ci troviamo in un contesto rurale dove l’artigianato ed i mestieri manuali erano di vitale importanza perché creavano dimora, quindi protezione dal freddo ma anche attrezzature da lavoro e per la caccia, indispensabili per lo svolgimento della vita quotidiana. Il particolare più importante è che non esisteva una vera istruzione alla professione ma ci si doveva affidare all’estro, l’abilità e l’esperienza di ogni singolo mastro. Parliamo quindi di talento personale, tanto sacrificio e nozioni ataviche trasmesse dai più anziani. Ecco perché si parla di arte; l’arte di risolvere i problemi quotidiani, di alleviare le sofferenze della vita vissuta in povertà. Non esistevano né garanzie né assicurazioni, tanto meno la possibilità di rifare le cose daccapo e pertanto, una cosa fatta ad arte era una fortuna e rimaneva nel tempo come quella fatta male con le sue conseguenze. Ma arriviamo alla parte che riguarda più direttamente il tema trattato in questo libro, il cane pastore abruzzese ed il suo contesto vitae. La pecora ed il suo allevamento, come già accennato, sin dai primi secoli avanti Cristo fino alla metà dell’800 costituiva la maggiore fonte di reddito per le persone che vivevano nel territorio di cui si narra. Al tempo era l’animale d’allevamento che rispetto al costo del mantenimento dava la maggiore resa. La lana si usava ancora per filarla e farvi capi di abbigliamento come anche per l’imbottitura di cuscini e materassi. Poi vi era il latte per il formaggio e la carne degli agnelli, delle pecore e dei montoni castrati, detti anche manzi, che avevano il compito di guidare le greggi. Oggi la tosatura ha un costo tale che la stessa vendita della lana non riesce ad ammortizzare. Infatti, ormai si tosano quasi esclusivamente per il benessere dell’animale. Tornando al detto, proprio questa importanza dell’allevamento ovino fa comprendere quanto dannose e dolorose dovevano essere le perdite, anche di un singolo capo. Queste potevano avvenire a causa di furti e saccheggi (esistevano anche già le rapine) o per colpa dei predatori come orsi e lupi. Ma chi era il cacciatore di pecore per eccellenza, quello che lo faceva con maggiore acume e mestiere, causando evidentemente i maggiori danni? Il nostro proverbio ce lo dice senza lasciare spazio a dubbi, è “ju lupe”. Notiamo qui come il lupo riveste nella scala sociale di quel tempo un ruolo importante. Tanto era temuto per la sua spietatezza quanto stimato per la sua abilità. Nel proverbio si riconosce al lupo il titolo di capo mastro della predazione. Direte – ma allora il cane da pecora non fa una bella figura. La fa, la fa! Pensate che il cane così come ancora oggi lo trovate esiste sulla nostra penisola da oltre duemila anni. Credete che i pastori o allevatori di ovi-caprini non avessero nulla di meglio da fare che sfamare un essere inutile? Beh! – potete ben immaginare che tutto si potevano permettere meno che sprechi e lussi. Se il cane ed il suo mestiere sono sopravvissuti nei millenni, con una presenza maggiore o minore, a seconda dell’andamento della pastorizia e della presenza di predatori, lo si deve esclusivamente alle sue capacità. Il cane da pecora è andato a sopperire lì dove il fucile del cacciatore e l’astuzia del pastore fallivano, garantendo una notevole e soprattutto vitale limitazione delle perdite e quindi dei danni. Senza fare un torto a nessuno e senza stravolgere il senso del detto, esso si potrebbe anche mutare in “ognune all’arte se e ju cane da pecora pe’ ju lupe”. E’ ovvio però che le cose negative lasciano un segno più marcato di quelle positive e così il proverbio rimane più incisivo nella sua espressione originale. Ciò non toglie che il cane pastore abruzzese è il migliore nel suo campo, è il capomastro nel mestiere di guardiano delle pecore. Anche le più ampie ricerche (1978 –1987) effettuate dal Biologo statunitense Prof. Ray Coppinger, che ha studiato oltre quattordicimila cani da protezione del gregge di razze diverse, è giunto alla conclusione che il nostro cane da pecora è in assoluto il più affidabile, non fosse altro per il suo morboso attaccamento agli ovini. Accenneremo in questa antologia canina anche ai suoi esperimenti. Dunque, questo libro non solo ci trasporta nel contesto che da sempre ha costituito l’habitat naturale del nostro cane, ma dimostra anche che la citazione di questo detto atavico calza perfettamente per questo antico guardiano. Il fatto che debba spesso rimanere solo con gli armenti ed autonomamente prevedere eventi e valutare situazioni, cercando di risolverle nel migliore dei modo, fanno di lui uno dei cani più affidabili ed equilibrati. È per questa ragione che gli riesce di adattarsi alla maggior parte delle diverse condizioni di vita che gli si impongono, senza di contro divenire un cane esigente. Infatti, oggi difende aziende, giardini e case con la massima dedizione senza divenire un cane pericoloso o ingestibile. Tutto questo, senza mai pretendere riconoscimenti od effusioni, affezionandosi con sentimento indissolubile anche ai bimbi.
Pile rusce e cane pezzat' accidele appena nate
Si tratta di un detto antico dei pastori marsicani, quando vigeva ancora la selezione dei cuccioli ad vitam. Per ragioni verosimilmente legate ai popoli invasori che avevano lasciato dei "bastardi" sul territorio. Ovvero persone dai capelli rossi che evidentmente non corrispondevano al canonico aspetto dell'uomo mediterraneo e che venivano considerate non pure e poco affidabili. Alla stessa stregua a quei tempi erano considerati i cuccioli di cane da pastore non completamente bianchi. Da lì la crudele associazione che, per fortuna, oggi è solo un ormai lontano ricordo.